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dai GIORNALI di OGGIQuello che sui giornali non leggerete più "Se escono fuori registrazioni lascio questo Paese". Le nuove regole sulle intercettazioni vanno incontro a una vera ossessione del Cavaliere Vietato trascrivere anche se un capo Rai chiede silenzio su dati elettorali non graditi al Capo 2009-06-11 |
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REPUBBLICA per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.repubblica.it/2008-06-11 Le nuove regole sulle intercettazioni vanno incontro a una vera ossessione del Cavaliere Vietato trascrivere anche se un capo Rai chiede silenzio su dati elettorali non graditi al Capo Quello che sui giornali non leggerete più di GIUSEPPE D'AVANZO Quello che sui giornali non leggerete più "Se escono fuori registrazioni lascio questo Paese". Lo disse Berlusconi l'anno scorso, ad Ancona, e così annunciò la sua offensiva contro le intercettazioni. Più che un'offensiva, la distruzione risolutiva di uno strumento d'indagine essenziale per la sicurezza del Paese e del cittadino. "Permetteremo le intercettazioni - disse nelle Marche quel giorno, era aprile - soltanto per reati di terrorismo e criminalità organizzata e ci saranno cinque anni di carcere per chi le ordina, per chi le fa, per chi le diffonde, oltre a multe salatissime per gli editori che le pubblicano". Come d'abitudine, il Cavaliere la spara grossa, grossissima, consapevole che quel che ha in mente è un obiettivo più ridotto, ma tuttavia adeguato alla volontà di togliere dalla cassetta degli attrezzi della magistratura e delle polizie un arnese essenziale al lavoro. E, dagli strumenti dell'informazione, un utensile che, maneggiato con cura (e non sempre lo è stato), si è dimostrato molto efficace per raccontare le ombre del potere. La possibilità di essere ascoltato nelle sue conversazioni - magari perché il suo interlocutore era sott'inchiesta, come gli è accaduto nei colloqui con Agostino Saccà o, in passato, con Marcello Dell'Utri - è per il Cavaliere un'ossessione, un'ansia, una fobia. Ci è incappato più d'una volta. Nel Capodanno 1987, alle ore 20,52 dalla villa di Arcore (Berlusconi festeggia con Fedele Confalonieri e Bettino Craxi). Berlusconi. Iniziamo male l'anno! Dell'Utri. Perché male? Berlusconi. Perché dovevano venire due [ragazze] di Drive In che ci hanno fatto il bidone! E anche Craxi è fuori dalla grazia di Dio! Dell'Utri. Ah! Ma che te ne frega di Drive In? Berlusconi. Che me ne frega? Poi finisce che non scopiamo più! Se non comincia così l'anno, non si scopa più! Dell'Utri. Va bene, insomma, che vada a scopare in un altro posto! La conversazione racconta la familiarità tra il tycoon e un presidente del consiglio allora in carica che gli confeziona, per i suoi network televisivi, un decreto legge su misura, poi bocciato dalla Corte Costituzionale. Già l'anno prima, il giorno di Natale del 1986, il nome di Berlusconi era saltato fuori in un'intercettazione tra un mafioso, Gaetano Cinà, e il fratello di Marcello Dell'Utri, Alberto. Cinà. Lo sai quanto pesava la cassata del Cavaliere? Dell'Utri. No, quanto pesava, quattro chili? Cinà. Sì, va be'! Undici chili e ottocento! Dell'Utri. Minchione! E che gli arrivò, un camion gli arrivò? Cinà. Certo, ho dovuto far fare una cassa dal falegname, altrimenti si rompeva! Perché un mafioso di primo piano come Cinà si prendesse il disturbo di regalare un monumento di glassa al Cavaliere rimane ancora un enigma, ma documenta quanto meno il tentativo di Cosa Nostra di ingraziarselo. Al contrario, è Berlusconi che sembra promettere un beneficio ad Agostino Saccà, direttore di RaiFiction quando, il 6 luglio 2007, gli dice: "Io sai che poi ti ricambierò dall'altra parte, quando tu sarai un libero imprenditore, mi impegno a ... eh! A darti un grande sostegno". Che cosa chiedeva il premier? Il favore di un ingaggio per una soubrette utile a conquistare un senatore e mettere sotto il governo Prodi. O magari... Ancora uno stralcio: Saccà. Lei è l'unica persona che non mi ha mai chiesto niente, voglio dire... Berlusconi. Io qualche volta di donne... e ti chiedo... per sollevare il morale del Capo (ridendo). E in effetti, con molto tatto, Berlusconi chiede di sistemare o per lo meno di prendere in considerazione questa o quella attrice. Qualcuna "perché sta diventando pericolosa". È l'ascolto di queste conversazioni, disvelatrici dei rapporti con una politica corrotta, con il servizio pubblico televisivo in teoria concorrente, addirittura con poteri criminali, che il premier vuole rendere da oggi irrealizzabile per la magistratura e vietato alla pubblicazione, anche la più rispettosa della privacy. Per scardinare, nell'opinione pubblica, la convinzione che gli ascolti telefonici, ambientali, telematici servano e non siano soltanto una capricciosa bizzarria di toghe intriganti e sollazzo indecente per cronisti ficcanaso, Berlusconi ha costruito nel tempo una narrazione dove si sprecano numeri iperbolici ed elaborate leggende. Dice: "Si parla di 350 mila intercettazioni, è un fatto allucinante, inaccettabile in una democrazia". Fa dire al suo ministro di Giustizia che gli italiani intercettati sono addirittura "30 milioni" mentre sono 125 mila le utenze sotto ascolto (le utenze telefoniche, non gli italiani intercettati). Alla procura di Milano, per fare un esempio, su 200 mila fascicoli penali all'anno, le indagini con intercettazioni restano sotto il 3 per cento (6136). Altra bubbola del ministro è che gli ascolti si "mangiano" il 33 per cento del bilancio della giustizia mentre invece sfiorano soltanto il 3 per cento di quel bilancio (per la precisione il 2,9 per cento, 225 milioni di costo contro i 7 miliardi e mezzo del bilancio annuale della giustizia). Senza dire che, per inerzia del governo, lo Stato paga al gestore telefonico 26 euro per ogni tabulato, 1,6 euro al giorno per intercettare un telefono fisso, 2 euro al giorno per in cellulare e 12 per un satellitare e l'esecutivo non ha tentato nemmeno di ottenere dalle compagnie telefoniche un pagamento a forfait o tariffe agevolate in cambio della concessione pubblica (accade all'estero). Nonostante questa inerzia, le intercettazioni si pagano da sole, anche con una sola indagine. Il caso di scuola è l'inchiesta Antonveneta. Costo dell'indagine, 8 milioni di euro. Denaro incassato dallo Stato con il patteggiamento dei 64 indagati, 340 milioni. Il costo di un anno di intercettazioni e avanza qualche decina di milioni da collocare a bilancio, come è avvenuto, per la costruzione di nuovi asili. Comunque la si giri e la si volti, questa legge serve soltanto a contenere le angosce del premier e dei suoi amici, a proteggere le loro relazioni e i loro passi, a salvaguardare il malaffare dovunque sia diffuso e radicato. Per il cittadino che chiede sicurezza e vuole essere informato di quel accade nel Paese è soltanto una sconfitta che lo rende più debole, più indifeso, più smarrito. Se la legge dovesse essere confermata così com'è al Senato, i pubblici ministeri potranno chiedere di intercettare un indagato soltanto quando hanno già ottenuto quei "gravi indizi di colpevolezza" che giustificherebbero il suo arresto. E allora che bisogno c'è delle intercettazioni? Forse è davvero la morte della giustizia penale, come scrive l'associazione magistrati. Certo, è l'eclissi di un segmento rilevante dell'informazione. Da oggi si potranno soltanto proporre dei "riassuntini" dell'inchiesta e delle prove raccolte. Non si potrà pubblicare più alcun documento, nessun testo di intercettazione. La cronaca, queste cronache del potere, però, non sono soltanto il racconto di imprese delittuose. Non deve esserci necessariamente un delitto, una responsabilità penale in questi affreschi. Spesso al contrario possono rendere manifesto e pubblico soltanto un disordine sociale, un dispositivo storto che merita di essere raccontato quanto e più di un delitto perché, più di un delitto, attossica l'ordinato vivere civile. Immaginate che ci sia un dirigente della Rai che, in una sera elettorale, chiama al telefono un famoso conduttore e gli chiede di lasciar perdere con gli exit poll che danno un risultato molesto per "il Capo". Immaginate che il dirigente Rai per essere più convincente con il conduttore spiega che quello è "un ordine del Capo". Non c'è nulla di penale, è vero, ma davvero è inutile, irrilevante raccontare ai telespettatori che la scena somministrata loro, quella sera, era truccata? Bene, ammesso che questa sia stata una conversazione intercettata recentemente in un'inchiesta giudiziaria, non la leggerete più perché l'ossessione del premier, diventata oggi legge dello Stato, la vieta. Chi ci guadagna è soltanto chi ha il potere. Chi deve giudicarlo non ne avrà più né gli strumenti né l'occasione. (11 giugno 2009)
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L'UNITA' per l'articolo completo vai al sito Internet http://www.unita.it2009-06-11 Intercettazioni, l'appello dei magistrati La Camera ha approvato la questione di fiducia posta dal governo sul Ddl sulle intercettazioni. I sì sono stati 325, 246 i no, due gli astenuti. La riforma delle intercettazioni unita a quella del processo segnano nei fatti "la morte della giustizia penale in Italia". A insorgere contro le nuove norme è l'Associazione nazionale magistrati, che parla di scelte legislative "che rappresentano un oggettivo favore ai peggiori delinquenti". In particolare, le norme sulle intercettazioni "impediranno alle forze di polizia e alla magistratura inquirente di individuare i responsabili di gravissimi reati". I magistrati si dicono "sgomenti" che il Parlamento compia queste scelte proprio "in un momento in cui la sicurezza dei cittadini è evocata come priorità del Paese". E spiegano con esempi concreti la "gravità delle conseguenze" delle nuove norme: "gli stupri di Roma, le violenze nella clinica di Milano, le scalate bancarie alla Antonveneta e alla Bnl: in nessuno di questi casi con la nuova legge sarebbe stato possibile accertare i fatti e trovare i colpevoli". "È semplicemente assurdo pensare che si possano fare intercettazioni solo nei confronti del colpevole già individuato. Ed è del tutto irragionevole prevedere che le intercettazioni debbano sempre essere interrotte dopo 60 giorni, anche nei casi, come un sequestro di persona, un traffico di stupefacenti o di armi, in cui il reato sia in corso di esecuzione" . E non basta: "la equiparazione delle riprese visive alle attività di intercettazione rappresenta un grave danno per la lotta al crimine. Con queste norme non saranno possibili riprese visive per identificare gli autori di rapine in banca, spaccio di stupefacenti nelle piazze, violenza negli stadi, assenteismo nei pubblici uffici". Anzichè ricercare un "punto di equilibrio tra esigenze investigative, tutela della riservatezza delle persone e diritto alla informazione", Governo e Parlamento - lamenta l'Anm - "sacrificano del tutto le esigenze investigative e il diritto di informazione". Un quadro ancora più preoccupante se letto insieme alla riforma del processo penale in discussione in Senato; una proposta che "non introduce le riforme necessarie ad assicurare l'efficienza del processo e la sua ragionevole durata, ma addirittura inserisce nuovi, inutili formalismi, che determineranno un ulteriore allungamento dei tempi del processo". In sostanza è come se"Governo e Parlamento chiedono alle forze dell' ordine e alla magistratura inquirente di tutelare la sicurezza dei cittadini uscendo per strada disarmati e con un braccio legato dietro la schiena". Sarebbe allora "più serio e coerente - sostiene la giunta dell'Anm - assumersi la responsabilità politica di abrogare l'istituto delle intercettazioni piuttosto che trasformarle in uno strumento non più utilizzabile". Comunque sul ddl intercettazioni con ogni probabilità, dopo la fiducia dalla Camera, ci sarà una votazione a scrutinio segreto sull'intero provvedimento. Ipotesi prevista dal regolamento e sulla quale l'opposizione sarebbe propensa a chiedere alla Presidenza della Camera un vaglio di ammissibilità. Secondo quanto si apprende la Presidenza della Camera sarebbe fortemente orientata, a fronte della formalizzazione della richiesta,a valutarla positivamente. A chiedere lo scrutinio segreto dovranno essere 30 deputati o un capogruppo che li rappresenti. 10 giugno 2009
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